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LA TRAPPOLA DELLE ASPETTATIVE (e tu cosa ti aspetti?)


Le aspettative possono avere un ruolo cruciale nell'origine e nel mantenimento della sofferenza psicologica. Che caratteristiche possono assumere tanto da contribuire a influenzare negativamente il nostro umore e il nostro comportamento?

Alla base di tutto c’è un errore cognitivo, ossia considerare le aspettative come reali e oggettive. In verità esse sono il prodotto soggettivo della nostra mente costruite sulla base delle nostre credenze, sono previsioni più o meno accurate che possono non realizzarsi nella realtà. Cominciare ad essere consapevoli di questo ci può già aiutare a fare luce su alcune trappole in cui cadiamo, spesso senza accorgercene, e da cui possiamo liberarci. O almeno possiamo provare a farlo.



Se guardo indietro nel mio lavoro di psicoterapeuta, in questi anni, ci sono delle costanti che si ripetono in molte delle storie che ho avuto occasione di ascoltare. La sofferenza psicologica, che si esprime con diverse emozioni e pensieri rispetto a situazioni concrete o vissuti interiori, pur nella sua diversità e unicità presenta spesso delle caratteristiche simili.

Tra queste costanti c’è sicuramente il ruolo cruciale delle aspettative nell’origine e nel mantenimento del malessere psicologico.


L’aspettativa fa riferimento a ciò che ci aspettiamo da qualcosa o da qualcuno, è una previsione che nasce da noi stessi a cui però, troppo spesso, diamo valore assoluto e oggettivo, mentre realisticamente sono solo previsioni che, come quelle meteorologiche, possono accadere o meno, sono probabilità soggettive. Ho notato che dire “mi aspetto che” viene usato spesso come sinonimo di “deve succedere che”, non c’è spazio alla probabilità ma diventa un obbligo, non c’è libertà ma un'idea irreale di totale controllo.



 

Troppo spesso durante i colloqui emergono frasi del tipo “MI aspetto di comportarmi in un certo modo” (“Devo comportarmi in un certo modo”), “Mi aspetto che gli altri si comportino in un certo modo” (“Gli altri devono comportarsi in un certo modo”), “Mi aspetto che le cose vadano in un certo modo” (“Le cose devono andare in un certo modo”); sono quelle che in psicoterapia cognitiva vengono chiamate DOVERIZZAZIONI su di sé, sugli altri e sul mondo.


Il verbo Dovere, nel dizionario, ha questo primo significato: avere l’obbligo (per ragioni morali, per legge, per convenienze sociali) di fare una cosa, implica una legge da rispettare che se violata ha delle conseguenze negative sulla persona; pensiamo al codice della Strada: un insieme di norme che ciascuno di noi ha l’obbligo di rispettare e che se vengono violate, poiché ognuno di noi può scegliere se seguirle o meno, portano a possibili conseguenze negative (es. multe).

Per una civile e sana convivenza il rispetto dei doveri è necessario e auspicabile e non c’è niente di patologico in questo; tuttavia, se guardiamo con attenzione le frasi che ho citato sopra, vediamo che troppo spesso utilizziamo il verbo DOVERE anche per cose su cui non c’è una legge a cui far riferimento. Insomma le aspettative perdono il loro vero significato e diventano obblighi senza gradi di libertà.

Così quando le sentiamo minacciate sperimentiamo ANSIA, quando sentiamo di averle perse proviamo TRISTEZZA o RABBIA, quando riguardano noi stessi e non le rispettiamo proviamo COLPA e potrei andare avanti così ancora per un po’. Insomma le aspettative sono delle vere e proprie trappole mentali che ci ingabbiano in un mare di sofferenza e insoddisfazione.


Alla base di tutto c’è un errore cognitivo: considerare le aspettative come REALI, quando sono il prodotto soggettivo della nostra mente costruite sulla base delle nostre credenze.


ASPETTATIVE SU NOI STESSI


Le aspettative che ci facciamo su noi stessi sono spesso legate all’immagine ideale che ci siamo costruiti di noi e non tengono conto, più di tanto, di chi siamo realmente, in particolare, non prendono in considerazione le nostre emozioni, i nostri desideri e i nostri scopi.

La domanda è: “Mi aspetto di essere in un certo modo” è uguale a dire “Voglio essere in un certo modo”?

Evidentemente no.

La prima frase non ha vie di fuga: me lo aspetto, dev’essere così, è un obbligo e se non accade proverò frustrazione e insofferenza;

la seconda è un desiderio con gradi di libertà, per cui mette in conto che possa anche non accadere.

La seconda, è evidente, ci protegge meglio dalla sofferenza.



ASPETTATIVE SUGLI ALTRI


Le aspettative che ci facciamo sugli altri sono legate sempre e comunque all’immagine ideale che noi ci siamo costruiti di chi ci sta di fronte e non tengono conto di un aspetto fondamentale: l’altro è diverso da me, ha una sua mente indipendente ed è libero di comportarsi come meglio crede. Può piacere o meno ma questo è un dato di realtà: siamo tutti diversi e per quanto io conosca bene chi mi sta di fronte non sono nella sua testa, non ho vissuto la sua vita, non provo le sue emozioni, per cui non ho il controllo su di lui.

La domanda è: “Mi aspetto che l’altro si comporti in un certo modo” è uguale a dire “Voglio che l’altro si comporti in un certo modo”?

Evidentemente no.

La prima frase non tiene conto della libertà dell’altro, lo considera controllabile da me ed è evidente che se non accade proverò frustrazione e sofferenza;

la seconda è un desiderio che tiene conto della libertà dell’altro di agire o meno in un certo modo.

La seconda, è evidente, ci protegge meglio dalla sofferenza.


ASPETTATIVE SUL MONDO


Le aspettative che ci facciamo sul mondo sono legate anch’esse a un’immagine ideale che noi ci siamo costruiti della realtà che ci circonda e non tengono conto di un aspetto ovvio, ma a questo punto non so nemmeno quanto ovvio: noi non abbiamo il controllo totale degli eventi che accadono nella nostra vita. Le cose accadono indipendentemente da noi, certo possiamo agire per indirizzare il tiro, ma non avremmo mail il controllo totale. Forse il Covid-19 in questi due anni ci ha aiutato meglio a comprendere un po’ di più questo aspetto, ma non ne sono poi tanto sicura.

La domanda è: “Mi aspetto che le cose vadano in un certo modo” è uguale a dire “Voglio che le cose vadano in un certo modo”?

Evidentemente no.

La prima frase non tiene conto del fatto che, certamente, noi possiamo influenzare gli eventi ma non abbiamo il totale controllo su di essi; se ciò che ci aspettiamo non accade saremo frustrati e insofferenti;

la seconda è un desiderio che potremmo parafrasare così: “faccio tutto ciò che posso perché le cose vadano in un certo modo ma so che potrebbero andare diversamente”.

La seconda, è evidente, ci protegge meglio dalla sofferenza.


Attenzione ho detto che ci protegge meglio, non che non ci fa soffrire se non si realizza!


Quello che intendo dire è che la sofferenza per un desiderio in pericolo o non realizzato è naturale e adattiva; la sofferenza per un’aspettativa minacciata o non realizzata è più intensa, più duratura e fortemente disadattiva.

 

A questo punto cominciamo a chiederci:

  • Ho delle aspettative rigide e irrealistiche su di me, sugli altri e/o sul mondo? Quali sono?

  • Che emozioni provo a riguardo?

  • Quanto c’entrano con la mia sofferenza e la mia insoddisfazione quotidiana?

  • Come posso trasformarle in desideri?


Questi sono solo alcuni spunti di riflessione da cui partire per cominciare a prendere in mano le nostre sofferenze quotidiane, fare un po’ di ordine e concederci la possibilità di stare meglio.

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